Dove sono andati a finire i sindacati, quelli che si adoperavano affinché il diritto del lavoro non venisse alterato da nessuna forza politica? Sono morti a causa della sempre più crescente disoccupazione. Il potere economico ha stabilito delle regole che nessuno é stato in grado di contrastare e la politica si è orientata progressivamente a tutela di queste regole. L'industria ha preferito trovare mano d'opera altrove, nei luoghi del mondo dove il diritto del lavoro é inesistente riducendo così quei popoli in schiavitù.
Nascono così le multinazionali del profitto e la richiesta di mano d'opera nel nostro paese diventa sempre minore. Per le logiche del profitto, una società basata sul lavoro, dove le limitazioni imposte dal diritto interferiscono con gli interessi finanziari, orienta gli investitori verso i paesi in via di sviluppo, in quanto il concetto di globalizzazione lo permette. Così, pian piano, le politiche selvagge di industrializzazione hanno fatto in modo di creare progressivamente in Italia, come nel resto dell'occidente, un aumento della disoccupazione. Il potere sindacale é stato fagocitato dai vergognosi compromessi con le controparti, riducendo l'attività esclusivamente al patronato, tra l'altro spesso improvvisato, dove purtroppo anche la tutela legale è affidata ad avvocati con mandati a basso costo e perdenti in diverse sedi di giudizio.
L'aumento della disoccupazione ha creato una scissione tra le classi medio basse, divise in fortunati lavoratori e poveri disoccupati, tant'è vero che molte lotte sindacali sono viste come proteste di chi, nonostante il posto di lavoro, non si accontenta. Il dipendente pubblico, con i suoi contratti di lavoro scaduti e bloccati da anni è visto come il nullafacente parassita, il professionista come un ladro ed anche l'operaio, asse portante sino ad oggi nella lotta sui diritti del lavoro, è additato come un fortunato. Al di sotto di tutto questo, un sottobosco di precariato, sfruttamento e tristezza.
I sindacati confederali sono diventati appendici dei partiti al governo ed il sindacalismo di base, unica alternativa, è incapace di organizzarsi. Tra di loro è ben evidente la frustrazione dovuta all'incapacità di avere un seguito consistente di adesioni, la risultante di quest'ultima triste realtà è la visione di tre o quattro reduci retrivi che curano le piccole sedi come le cappelle di campagna, restituendo agli occhi dei lavoratori tanta tenerezza. L'incapacità di concretizzare e l'allergia allo sviluppo tecnologico relativo alla comunicazione, forse dovuto alla fede verso l'essenza minimale o verso prerogative di ideali poco programmatici, ha fatto del sindacalismo di base, un crogiolo di piccole realtà reazionarie. Quei lavoratori che intendono contribuire alla riorganizzazione di solito vengono stroncati dal "patriarcato o matriarcato" eterno, per non chiamarlo "nonnismo" di chi, a prescindere dalle reali necessità dei lavoratori, si ostina fare come ha sempre fatto. La paura è quella di perdere la piccola "carica", usata più come motivazione personale che per l'interesse collettivo.
Risolvere tutto questo è molto difficile, occorre un vero e proprio percorso costituente che sfoci in una nuova realtà sindacale capace di interfacciarsi perfettamente con i lavoratori e che snellisca i processi di intervento, tutela e trattativa. Come prima fase occorre far capire a chi ha fallito che è l'ora di cambiare, di prendere coscienza che organizzarsi per un futuro sconosciuto è molto più difficile che commemorare continuamente un passato certo.
Stefano Terraglia